martedì 18 febbraio 2014

Sport: valori, doping e psicoterapia

Autore: Matteo SIMONE
            Psicologo, Psicoterapeuta




A proposito della problematica del doping, una piaga sociale che ogni anno fa vittime illustri come il ciclista Armstrong o il marciatore azzurro Schwarzer. 


 

Bene, innanzitutto facciamo una distinzione sulle sostanze utilizzate. Per esempio gli anabolizzanti vengono usati soprattutto nel body building. Per quanto riguarda invece il ciclismo, si parla di emotrasfusione. Addirittura anche negli sport di concentrazione, come il tiro con l’arco , sono stati scoperti casi di utilizzo di beta bloccanti.
Quindi sì, c’è una trasversalità di sport colpiti purtroppo. Si tratta di farmaci, andrebbero usati solo sotto prescrizione medica. Per Armstrong e Schwarzer invece il problema è soprattutto mentale. Molti infatti investono tanto nello sport, forse troppo. Non viene più vissuta come passione, ma la disciplina sportiva viene vissuta come voglia di vincere, di essere riconosciuto. Poi subentrano altre cose, come gli sponsor, i mass media, che non possono accettare un fallimento.
Devi essere sulla cresta dell’onda ,sempre. Mentalmente può accadere di cedere perché si è al limite.



 Poi c’è un altro fenomeno preoccupante, il doping tra ragazzi per questione di estetica. Si va in palestra soprattutto per avere un bel fisico da mostrare. Più che combattere questo fenomeno, si dovrebbe psico-educare con equipe mediche composte da vari specialisti, coordinati magari da un ex dopato. Sarebbe una forma di riscatto sociale, di riabilitazione anche per loro. Chi meglio di essi può spiegare come non cadere in errore e come fronteggiare la pressione? Utilizzando un approccio non colpevolizzante poi, si possono ottenere risultati ancora migliori. La collaborazione in questi caso può fare molto.


Tutti gli Stati si propongono di combattere il fenomeno doping, anche se con mezzi diversi. Ultimamente si parla di passaporto biologico dell’atleta e questa potrebbe essere veramente una soluzione ottimale, perché fa una storia del tracciamento ematico dell’atleta stesso impedendogli di fatto di doparsi.
Si può addirittura prevenire il doping lavorando proprio sulla persona. Per esempio proprio la triste vicenda di Schwarzer ci insegna come, avendo solo motivazione estrinseche, fama gloria e successo in primis, si arrivi a commettere errori. Il percorso di lavoro inizia dal respiro, dalle sensazioni corporee che la persona, in questo caso l’atleta, prova nell’andare incontro all’evento sportivo.
Nel qual caso la gara andasse male, si lavora anche sulla sconfitta, perché c’è sempre da salvare qualcosa di positivo anche quando le cose non vanno bene. Si spacchetta e si analizza il tutto perché dalle sconfitte si può tornare più forti di prima. Io ho studiato un approccio che mi piace chiamare ORA, acronimo che sta per Obiettivi-Risorse-Autoefficacia. E’ un approccio psicoterapeutico tipico della Gestalt, e si indaga sul qui ed ora della circostanza. In sostanza si lavora ovviamente sul presente ma considerando anche il passato ed il futuro, anche attraverso magari l’ipnosi. Con questo stratagemma tento di mandare il paziente in quel preciso giorno, magari poco prima della gara e cerco di fargli rivivere le emozioni ,le sensazioni che ha provato o proverà in quella circostanza. E’ un’esperienza multimodale ,multisensoriale. La persona si deve vedere lì in quel momento ed in quel giorno.



A proposito di maratona molto spesso si sente parlare del “problema del muro”. Che cos’è e come si può superare?
Si è vero. L’importante è prepararsi a priori, svolgendo degli allenamenti adatti. Io per esempio do grande importanza agli allenamenti in progressione, ovvero inizio piano e poi incremento l’attività fino a finire l’allenamento al massimo delle mie forze. Questo risulterà importante quando in gara arriveranno i momenti di scoraggiamento. Durante la competizione è importante anche l’approccio meditativo. Quando ho la crisi, il timore di non farcela, in poche parole il muro, cerco di rilassarmi e riportare il respiro sotto controllo.
Poi inizio a mandare una serie di input al cervello del tipo “Sono al trentesimo km, facciamone un altro e vediamo come va.” E’ inutile pensare che ne mancano ancora dodici perchè si rischia di andare nel panico. Oppure un altro approccio autoefficace positivo è quello di immaginarsi una persona fidata che ti stimola e ti incoraggia a raggiungere il traguardo. La preparazione fisica ovviamente rimane basilare, ma la preparazione mentale ha assunto oramai una notevole importanza.


Matteo Simone
Psicologo, Psicoterapeuta
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